La Franchina di Luciano Borghini

LA FRANCHINA

 

Alta, bionda, bocca carnosa, gambe bellissime, insomma proprio una donna da far perdere la testa. E…

Un gran pregio. Sempre disponibile!

Si diceva anche avesse un fratello un po’ tocco, molto geloso e chi le si avvicinava rischiava di brutto.

Il nome della bionda era Franca e Franchina per gli amici.

Sarebbe stato bello ma non era vero niente, la Franchina era una specie di leggenda Metropolitana. Quasi tutti i paesi avevano la sua Franchina, per fare brutti scherzi e burlare qualcuno.

Questa storia non si è mai saputo chi l’avesse inventata, ma in quell’estate del 1967 ne beccammo molti nello scherzo. Noi ragazzi, una volta individuato il pollo, seduti davanti al jukbox della mitica Ghiacciaia cominciavamo, con fare indifferente, a decantare le virtù amatorie di Franchina. Questo si avvicinava piano piano interessato. E poi dopo un po’ di discorsi gli chiedevano se gli piaceva conoscere la bella bionda. L’avvertimmo del fratello matto.

Ma il temerario accettava l’incontro, che fissavano fuori paese, in posto appartato e buio.

Giunti sul posto cominciava sussurrando dolcemente il nome Franca, Franchina, Amore.

Ma al posto della Franchina all’improvviso sbucava il fratello matto, che minacciandolo con un bastone gridava: vigliacchi vi ammazzo tutti.

All’improvvisato latin lover, non restava che darsi alla fuga, travolgendo tutto quello che trovava sul suo cammino e far perdere  le sue tracce. Noi rimpiattati, dietro un muro, ci sbellicavamo dalle risate. Nello scherzo ci cascavano in tanti: l’ingegnere del comune, un futuro sposo, il postino, il sagrestano, due muratori venuti da Montevarchi, che per festeggiare avevano portato 10 paste dolci e una bottiglia di Campari, (che poi bevemmo noi).

Anch’io aspirante latin lover stavo per cascare un mesetto prima, ma un amico mi avvisò, così passai dall’altra parte.

Una sera beccammo il Pizzaiolo, il luogo dell’incontro sarebbe stato Volognano alle 11,00 di sera.

Verso le 10 e quindici il Pizzaiolo avvisa i clienti che non c’era più mozzarella, quindi chiudeva il locale. Quando la moglie si accorse che della mozzarella c’era ancora, lui impermalito gli mollò un calcio in uno stinco e urlò. Il Pizzaiolo sono io, decido io quando c’è la mozzarella. Eccitatissimo si recò nel posto prestabilito, ma dopo una decina di minuti, di corsa, percorreva il tratto di strada Volognano – Pontassieve con un tempo di valore europeo.

Questo scherzo stava prendendo una brutta piega, alcuni per sfuggire al matto si erano buttati in Arno, chi era svenuto, chi si era fatto male cercando di sfuggire.

Anche perché il fuggitivo era solo. I matti erano tre, che si davano il cambio. Il Ricciolo (un pentito, prima vittima), Schiaffino e Bandolero, tutti affidabili, urli tanti, senza mai toccare la vittima, noi li chiamavamo: Didì, Vavà, Pelè. Poi intervennero i carabinieri e accusarono tutti di smetterla per evitare dei guai seri.

Finì tutto lì? Direte voi? Forse, si. No! Ma una sera di settembre mentre seduti su una panchina stavano parlando di donne, ci apparve tutto azzimato in mezzo a una nuvoletta di profumo un certo tipo che si faceva chiamare James Bond. Di James Bond vi ho già parlato nel racconto “Primo Amore”. Il vecchio James con sguardo furbesco si avvicinò a noi e disse. Parlate di donne e non mi avvisate, questo è il mio pane. Noi tre fummo folgorati dalla stessa idea. Se l’era cercata Lui e noi avremmo finito in bellezza. Il vecchio James era un tipo che sapeva di tutto, moveva la bocca su tutte le discussioni, soprattutto, si vantava di aver avuto molte donne.

Grassoccio, pochi capelli, piccolo tendente al basso. Insomma era il pollo da cucinare bene. Gli fissammo un appuntamento vicino alla Casa di Cura, in un campo di granturco: si presentò tutto agghindato dentro la sua nuvoletta di profumo. Dopo pochi minuti chiamò amore Franchina, eccomi. Per tutta risposta uscì il fratello matto, e per sfuggire James si buttò a capofitto nel campo. Gli unici rumori che sentimmo erano le pannocchie di granturco che gli sbattevano in faccia.

Si presentò in Ghiacciaia dopo una decina di giorni con il viso tumefatto come se avesse fatto 10 riprese con Tayson. Si avvicinò a noi con uno sguardo sprezzante, e disse: il vecchio James non lascia mai il lavoro a metà. Io questa sera me la faccio, costi quel che costi. E se mi arrabbio faccio anche il matto.

Se questo fosse un film, una voce fuori campo commenterebbe: nel vecchio West si parla ancora delle imprese di james, e sulla sua tomba una mano ignota scrisse: “Bischero” come questo ha da rinascere.

Luciano Borghini

da LABURISTA Notizie n. 1/2019